Da cosa nasce questa poesia
Qualche mese fa, il direttore del coro con cui ho cantato per oltre quindici anni mi propose di scrivere una canzone estiva dal tono malinconico, da affiancare a classici come E la chiamano estate o La garota de Ipanema, per poter fare un concerto con materiale originale. Io non sono esperto di “canzonette”, quindi ho iniziato con un sonetto, che poi ho "rigirato" e riarrangiato per sembrare una canzone (del progetto non ho saputo piú nulla, ma mi resta il sonetto).
Poi, come spesso accade, la scrittura ha preso il sopravvento: ho sentito il bisogno di continuare e ho composto una seconda parte: più sperimentale, ossessiva, ricca di allitterazioni e giochi metrici, tra classico e moderno.
In seguito ho avuto di l'idea di aggiungere le didascalie con i tempi musicali come se fosse una sinfonia a due movimenti.
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Il risultato è un dittico poetico, che oggi pubblico qui. Forse non è in linea con la sensibilità contemporanea – l'ho proposto a qualche concorso e non ha avuto gran fortuna; ma per me resta comunque un testo vivo, personale e autentico.
Dittico Marino
I. "L'ultima onda"
Andante elegiaco
Nel dorato crepuscolo d'estate
cammino sulla spiaggia a passo lento.
Tra dune solitarie cesellate
dal soffio infaticabile del vento,
l'eco mi giunge dolce di risate
ora sopite dentro al cuore spento,
di promesse sul lido sussurrate
e carezze sfumate in un momento.
Così vagando, con lo sguardo assorto
mentre rincorro dei ricordi il filo,
raggiungo là dove si spegne il mare.
E nel tramonto d'un Settembre smorto,
l'ultima onda traccia il tuo profilo
e lo dissolve tra le spume amare...
II. "Sale amaro"
Vivace Impetuoso
...e tra le spume, col vento che geme,
sfugge il tuo volto in un’ombra fugace.
L’onda s’inarca, rimbomba, poi freme,
poi si ritira, gorgoglia, poi tace.
Sorge la luna, le grido il tuo nome,
ma ecco che il mare lo strappa e lo sbrana;
resta un sospiro fuggevole come
l’eco sommessa d’un’ode lontana.
Sapore salmastro stride sui denti:
ricordo dei baci scabri di rena.
Saperci lontani accresce i tormenti,
Pensarci vicini aggrava la pena.
L’anima rugge, il mare s’arrabbia,
cresce col vento la furia congiunta;
come un gabbiano che rantola in gabbia
stride, si storce, strattona e s'impunta.
Esausta poi l'ira si muta in sgomento,
si sbriciola in schegge, all'aria si perde,
ne inghiotte la notte il triste lamento;
il vento si posa, placa, disperde.
L'eco svanisce, si spegne stremata,
e il mare sussurra sillabe mute.
Resta soltanto la luna gelata
spia di parole per sempre perdute.
Resta dell'acqua una scia sulla terra,
sparsa di ciottoli dal maestrale;
svanito ogni grido, placa ogni guerra,
resta un ricordo più amaro del sale.